dipinti 2019-20

dipinti 2015-19

 biografia

Roma 1965
Inizia a dipingere nella seconda metà degli anni ottanta mentre frequenta l’Istituto Statale d’Arte di Anzio.
Fondamentale per la sua formazione è stato l’apprendistato presso la Mano Editore d’Arte dove ebbe modo di collaborare alla realizzazione del volume La regola e il caso di Bruno Munari: “All’epoca avevo ancora le idee molto confuse riguardo l’arte, e non sapevo assolutamente nulla di chi fosse Bruno Munari. Mi incuriosì molto, sembrava provenire da un’altra dimensione, la sua voce gentile e suadente ancora mi risuona nella testa”.
Incoraggiante è il primo viaggio a Parigi con le visite ai prestigiosi musei d’arte: Louvre, Orsay e Beaubourg; sebbene fondamentali siano per l’artista le mostre di Kandinsky e Sironi a Milano. Del primo dirà in seguito: “Venni completamente affascinato da quelle forme astratte che sembravano fluttuare vive su bagni liquidi di chimica cromatica” e del secondo: “L’artista sembra come ricreare una materia di altra natura, solidi, liquidi e gas sembrano avere tutti la stessa consistenza, una vera fisica pittorica”.
Pollastrini prosegue il suo percorso all’Accademia di Belle Arti di Roma: “Via Ripetta di fine anni ottanta era un luogo stropicciato di strani personaggi che si aggiravano in un ambiente unto d’olio di lino. Librerie d’arte, negozi di materiali per artisti che facevano credito, piccole gallerie tormentate da studenti in cerca di visibilità e caffè-pizzeria illuminati al neon facevano da fondale alla nostra ingenua presunzione di giovani artisti”. L’eco della Transavanguardia riecheggiava ancora tra qulle strade: “Paladino, Cucchi e Chia erano i nostri idoli di riferimento, anche se io avevo una predilezione particolare per gli americani Salle, Hearing e del genio italiano della videoinstallazione Fabrizio Plessi”. Questo è il periodo formativo e sperimentale della pittura di Pollastrini: “Ero curioso e volevo sapere di tutto, sperimentavo tutte le tecniche e i modelli iconografici che potevo”, sebbene questa consistente quantità di lavori sembrano unificati da un certo gusto del grafitismo street-art e scuola fumettistica alla Frigidaire.
Agli inizi dei novanta la ricerca di Pollastrini tende a concentrarsi sulla linea, nella sua peculiarità sia formante che de-formante, nelle sue possibilità di gestire la zona cromatica: “Mi concentrai sullo studio di Schiele e di Picasso, passai un altro periodo a Parigi a studiare Matisse, Picasso e Dubuffet, mi interessava l’idea di una linea creatrice spontanea che gira, si aggira e rigira a formare situazioni”. Da qui un ciclo di opere di figurazione stilizzata che si protrae fino alla seconda metà degli anni novanta quando, già da tempo, l’artista risiede stabilmente a Londra.
La Londra degli anni novanta dei New Labour, della principessa Diana ma soprattutto per la Y.B.A che pone la città come centro mondiale della creatività: “A Londra c’era tutto e il contrario di tutto, si stava dapertutto, si incontravano tutti”.
Qui Pollastrini si inserisce nell’ambiente artistico frequentando i corsi liberi del Morley College, la sterminata biblioteca d’arte del Victoria and Albert Museum, i vernissage di Cork Street e i molteplici eventi della Tate Gallery: “La Tate mi appariva come il vero tempio dell’arte. Qui ebbi modo di incontrare ed essere folgorato dalla pittura di Turner, era difficile credere che egli avrebbe potuto fare tanto, quanto e più del suo vicino di pareti, tale Rothko”. Questo periodo segna una svolta nell’opera di Pollastrini, nello stesso periodo in cui si cimenta professionalmente al mondo della grafica e della pionieristica fotografia digitale. La sua produzione pittorica diminuisce pur mantenendosi costante. La lezione di Turner unita a uno sguardo sulla pittura italiana di Morandi, scaturisce in un lungo ciclo di still life ostinatamente monotematiche, quasi frugali, dove all’enfasi della precedente linearità si sostituisce il gusto della composizione e della pianificazione cromatica.
Agli inizi del duemila Pollastrini rientra in Italia, alternando il lavoro della grafica con quello della pittura, giunge ad un approfondimento dell’istanza Turneriana. Le opere si fanno libere e compositivamente svincolate, forse la peculiarità del mare di Anzio, forse un maturato senso ontologico dell’esserci, fanno scaturire gli Anyscape (ogni possibile paesaggio), un ciclo di lavori che perdura fino a circa il 2016: “Nel ciclo degli Anyscape la pittura si fa sostrato di pura esistenzialità, dove non si scopre e non si inventa, ma si incontra. Incontro che può configurarsi in indifferenza o approfondimento conoscitivo”. Le opere si basano su strutture minimali di appoggio compositivo dove viene ampiamente incoraggiata la possibilità evocativa delle macchie di Botticelli.
Dal 2017 la pittura di Pollastrini si ri-configura, rielaborando tutte le precedenti esperienze, in una sintesi fondata sull’ortogonalità compositiva, quasi a togliere di mezzo qualsiasi elemento non necessario alla sua idea di pittura pura: “Ciò che cercavo era una struttura compositiva che enfatizasse le peculiarità della forma che contiene il colore e il colore che definisce la forma stessa. Una pittura che, senza girarci tanto intormo, si focalizzi sul potere pigmentale della materia bidimensionalizzata”. Lavori che si introducono con ciclo evocativamente tra il neoplastico e il concreto, dove linee verticali si contrappongono ad ampie campiture orizzontali in una intricata modularità eseguita con precisa tecnica hard edge. Di conseguenza a questa ricerca si sviluppano gli ultimi lavori, che sono ben rappresentati dalla galleria ArteOraTv, puntualmente curata da Roberto Porcelli, dove la libera pennellata si incontra con la razionalità del quadrangolo perfetto, così a ricercare una sorta di vibrazione cromo-plastica di musicale analogia: “Una ricerca utopica di cui non posso garantirme l’esito. Pone una condizione compositiva che esalti la proprietà cromatica del pigmento, quasi a creare l’equivalente musicale della risonanza, quella che per capirci, ti fa venire la pelle d’oca”. La ricerca di un verbo cromatico vibrazionale che viene proposto con diverse modalità iconografiche quali gli “orbitali”, le “vibrazioni” e le “pattern”.
Sebbene schivo all’usanza delle manifestazioni artistiche e soprattutto ai concorsi a premi: “Ritengo che gli artisti dovrebbero mettere le loro opere come premi piuttosto che partecipare con queste al ricevimento degli stessi”, Pollastrini ha preferito sempre un contatto diretto, di tipo rinascimentale, tra l’artista e il collezionista, nel caso con l’aiuto di un buon mediatore. Egli ha volontariamente limitato la sua partecipazione a mostre personali e collettive. Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche.

      

testi

Dai diari di Quirino Pollastrini


• In pittura la tela è come una lastra fotografica che si pone davanti al nulla.

 

• Il colore è contemporaneamente riflesso della materia e ombra dell’idea

 

• Un meraviglioso allineamento del Nero di Marte, interagente con la saggia proporzione di un Bruno di Kassel e Violetto Dioxazina permeati di ampli riflessi di bizzarro Rosso di Cadmio compiacente di un bel Giallo di Napoli.

Sedici alternative dialogano simultaneamente della luce potente e ostinata.

 

• La pittura è risoluzione continua di problemi che si avvale di scelte tra infinite possibilità.

 

• Il rosso.

Strano colore, non ti basta mai, non è mai rosso come dovrebbe essere.

C’è sempre un rosso più potente che rende il precedente rosso un bruno.

Non bisogna fissarsi troppo sul rosso.

Il rosso va più che altro ricordato, rosso come stimolo alla memoria del rosso.

Insieme ad altri colori il rosso fa sorpresa, arriva e fugge, rilancia la composizione come questa fosse una giostra che gira e rigira e si ripete sempre diversa.

Il rosso da solo è alieno. Alieno mutante che non si ripresenta mai uguale a se stesso.

È rosso e appare come tale.

È rosso ma non appare per il rosso che dovrebbe essere.

Il rosso non è fisso, è sempre instabile come se cercasse un suo equilibrio interiore.

Poco rosso può essere contenuto eseguendo il suo significato, la sua presenza onesta, moralità discreta del poco rosso.

 

• Il nero. Anzi i neri. Tutti i neri sono neri.

 

• Il fare artistico include formatività. L’effetto di questo fare è sempre individualizzazione certificata dell’azione esperienziale e creativa.

Il formare e ricomporre elementi reali, modificandone proprietà e fini, inoculandoli di nuovi concetti e ponendoli come somma individuale dell’oggetto artistico.

 

• La Nostra Arte comincia col sapere poco di tanto, poi col sapere tanto di poco ed infine col sapere tutto di nulla che altro non è che il sapere nulla di tutto.

 

• La pittura bidimensionale sublima la materia-pigmento attraverso l’azione di schiacciamento dello stesso sul piano del supporto. Così da avere il pieno controllo progettuale della materia.

 

• Mai usare oro vero per dipingere. La storia ci insegna che, prima o poi, queste opere verranno bruciate per estrarne il metallo.

 

• Il pigmento colorato, sebbene schiacciato sul piano della pittura, è pur sempre materia fisica.

 

• Nell’astrattismo radicale il pittore può procedere in modo intuitivo e/o razionale, seguire uno dei due metodi in tutte le fasi o alternarli. Comunque sarà sempre un problema di scelte decise, a meno che si voglia procedere per innumerevoli varianti. La pittura radicale è fondamentalmente un problema di scelte.

 

• Ogni qualvolta un dipinto susciti l’idea o senso di tensione, movimento, equilibrio o il contrario di questo o altre impressioni riferibili alla realtà fenomenica, questo dipinto si allontana dalla purezza pittorica per farsi illustrativo e illusoriamente verosimile alla realtà.

 

• In pittura non si “dipinge la luce” quanto piuttosto la struttura in cui la luce fluisce e si riflette. Il pittore è come un idraulico che progetta e costruisce sistemi di distribuzione dell’acqua.

 

• In pittura non esiste costruzione, che è fenomeno della realtà. In pittura esiste solo composizione superficiale dei campi cromatici in adiacenza.

 

• Il “silenzio della forma” non è altro che la sua ovvia staticità bidimensionale che non dovrebbe mai essere nascosta dagli artifici pseudo-dinamici della pittura illustrativa.

 

• Se fossi interessato allo scorrere del tempo

sarei musicista.

Se lo fossi del movimento

sarei ballerino e coreografo.

Grande onore a queste nobili arti.

Ma sono pittore,

apologeta della stasi,

sacerdote dello spazio,

esegeta della simultaneità.

 

• Per assurdo che sia, possiamo dare un giudizio su un’opera d’arte senza sapere cosa sia l’arte.

 

• L’insofferenza e il disagio generale per l’arte moderna sta nella presunzione illuministica di avere una volta per tutto eliminato il lato magico della cultura. L’arte moderna e soprattutto quella contemporanea dimostrano il contrario.

 

• Il bello come riconciliazione tra idea e realtà

 

• Il paradosso della pittura sta nel fatto che questa disciplina si fonda sulla pratica concreta di ridurre materia sostanziale a traccia bidimensionale. Traccia che può risolversi di nuovo in rappresentazione della realtà, se pur illusoria, ma che può anche superare la realtà stessa, regredirla a fatto puramente concettuale.

Questo atto paradossale di trasmutazione permette di fissare documentalmente la natura sia in termini storico-tesutali sia di fissare in senso dinamico proposte che progettualmente si estendono nel futuro.

Paradossalità che è magia oggettivamente verificabile.

 

• Il pittore astratto estrae dal “tutto pittorico” della tela ciò che di volta in volta vuole identificare tra questo tutto.

 

• Una caratteristica fondamentale della pittura è la sua possibilità di essere sempre presente nell’ambiente in cui viviamo. Questa, pur lontano dallo sguardo, agisce sottilmente sulla luce ambientale in modo continuo e inesorabile.

 

• L’arte è la missione dello spirito oggettivo che emergendo dall’inconscio collettivo si fa coscienza di specie. La pittura è l’avanguardia che guida l’arte tutta in questa missione.

 

• Il colore è sostanza che nella sua variabilità cromatica si lascia percepire sullo/nello spazio ontologico della superficie.

 

• Arte come documentalità di un processo formativo. Fenomeno di un pensare-fare che si fa concreta forma documentata. Documentalità sintetica e conclusiva che attesta l’esito del processo formante.

 

• Non tutti i processi finiscono col produrre oro, sebbene tutti siano indirizzati in questa direzione. Ciò che conta è l’onestà dell’intezione.

 

• Tutto si può delegare tranne la pennellata.

 

• L’artista ha il privilegio di cambiare idea come e quando vuole. Ciò che conta è che creda nella cosa che fa nel momento in cui la fa. Artista è colui che vive felicemente la sua contraddizione.

 

• I margini dell’arte contemporanea sono molto stretti. O si cade nella trovata o nell’attivismo politico.

 

• Il mio lavoro consiste in due fasi produttive che corrono parallele: una essoterica e palese che è il farsi e completarsi fissandosi documentalmente nel dipinto eseguito; l’altra esoterica e occulta che è il mescolarsi delle tinte sulla tavolozza di cui non rimane traccia alcuna. A meno che di fotografarla nei momenti mescolativi senza peraltro poterlo fare nella loro totalità di insieme.

Se il dipinto è atto concluso e fissato nello spazio la tavolozza è l’estensione di un divenire mai concluso nel tempo.

 

• La pittura è linguaggio senza grammatica che lascia al pittore la libertà di codificarlo come desidera.

 

• La perfezione di un’opera non è tanto nell’esecuzione perfetta di questa. Chi potrebbbe mai giudicare della perfezione di un’opera, a meno che si tratti di una copia di un’altra opera che portebbe essere addirittura imperfetta? La perfezione è uno stato d’animo che può scaturire o essere suggerito da un opera che non ha nulla a che fare con la sua stessa perfezione.

 

• Stile come autodefinizione identitaria del proprio divenire. Stile come forma autoreferenziale di riferimento del sé con il sé. Codificazione a proprio uso e consumo di attidudini, abitudini e convenienze operative. Come comoda poltrona della giustificazione ai propri limiti. Rottura dello stile, sua riproposizione, poliedricità dell’individualità che si corrompe nei mille rivoli dell’univocità.

 

• Virtuoso è l’artista che fa a meno di un mezzo che egli riteneva assolutamente necessario.

 

• L’estetica è una disciplina ambigua. Questa dovrebbe essere una coniugazione di due “scienze” che non si incontrano quasi mai: la scienza della bellezza e la scienza dell’arte.

 

• L’eclettismo anarchico dell’arte moderna riflette fedelmente le contraddizioni della civiltà in atto.

 

• In pittura non c’è nè il lontano nè il vicino, nè l’imprtante e nè il saliente. In pittura tutte le cose sono di fatto sullo stesso piano di relazione. La pittura è democrazia di forme-colori tra loro mutuabili compositivamente.

È una pessima abitudine educativa cercare nel dipinto punti focali, nodi e centralità gerarchiche. La pittura è orizzontalmente piatta; in essa nessuna legge soggettuale prevale sull’altra. La regola strutturale e compositiva della pittura è paritaria tra le forme date.

 

• In pittura esiste solo il piano colorato. La campitura cromo-pigmentale che determina la forma unica, protagonista e comparsa del dipinto. Il punto, la linea, le ombre, le luminanze e quant’altro definibile sul piano del dipinto sono solo sinonimi categorici del campo cromatico.

 

• La pittura non è un fatto biologico o evolutivo, in quanto i dipinti non si riproducono ma si producono. Vengono prodotti da entità biologiche più o meno evolute. La pittura è sempre un processo di creazione e produzione bio-meccanica.

 

• L’antico è il vecchio recuperato al presente.

 

• L’artista è colui che fa cose diverse da quelle che generalmente si fanno. O le stesse in modo diverso. O così si pensa.

 

• Il senso della vita è la percezione e la pittura ne è il suo paradigma.

 

 


 • Fruire della pittura è l’unica possibilità di vedere con occhi e mente altrui.

 

• Qualsiasi tentativo di descrivere o formalizzare l’idea di spirito attraverso immagini prese in prestito dalla realtà, finisce sempre per ricondurre l’osservazione alla materialità delle cose.

 

• Sono i nostri schemi mentali che ci permettono di scomporre il campo visivo, ricostruendo significativamente la realtà. L’astrattismo è la matrice strutturale di questi schemi mentali che ciascuno di noi elabora per se.

 

• Lo spazio pittorico è per l’artista ciò che è il cosmo è per un’astronomo. Infinite possibilità del colore nelle sue articolazioni possibili di forma.

 

• La bellezza di una pittura programmatica sta nelle sue regole metodologiche. Regole che l’artista decide di volta in volta in modo autonomo e libero. Regole che all’occorrenza vengono eliminate o modificate ma mai disattese.

In effetti, nella pittura programmatica, è proprio questo regolamentare e de-regolamentare che crea una sorta di spessore procedurale visibile o invisibile che da il fascino al dipinto.

 

• In fondo che cosa è la pittura se non il ben presentare le tinte che si hanno a disposizione?

 

• Osservare attentamente la natura è sia il presupposto che l’unica via della conoscenza. Esserne ingannati da un’osservazione erronea è la via della creatività. L’inganno è conoscenza di mezzo, ente di superamento creativo che attraverso la ragione diviene utensile concettuale per il raggiungimento della verità.

 

• Battuta piena su campitura regolare e geometricamente basilare del quadrangolo. Il colore puro, mescolato, contaminato, dato copiosamente a corpo col mestichino. Coprendo ampiamente, sbordando la forma di colore. Poi nello stesso modo il fondo a modo di maschera a definirne di nuovo una regolarità di forma-colore, ormai completamente persa nella sua uniformità razionale.

Questo è rapporto tra razionalità e irrazionalità, tra determinato e indeterminato.

Memoria di legge razionale sottostante, definizione di una struttura regolare tra i flutti del caso. Come fosse viva.

 

• Ho provato la modulazione in larghezza delle fasce verticali e sperimentato anche la doppia fascia su una che non mi piaceva. Comunque, quando capisco che un lavoro non funziona, ne posso approfittare per provarci soluzioni più radicali.

 

• Le verticali intersecanti campi giustapposti definiscono “parentele” tra questi. Ovverosia una sorta di relazione genetica continuativa.

 

• Visitare un altro universo dove le tenebre sono luminose e le stelle appaiono quadrate.

 

• Con la tela si fabbricano bene i sacchi per le patate o il vestitino per gli eremiti. Viva la carta, lunga vita alla carta.

 

• Gravità della pittura.

Se un ingegnere subisce il “peso della gravità”, il fisico ne subisce il fascino.

Così come un illustratore subisce i limiti della pittura, il pittore puro ne subisce il fascino.

 

• L’idea oggettuale, ovverosia la capacità di identificare formalmente una porzione di natura come oggetto a se stante, è puramente umana. La “in-oggettualità del reale” (Malevich) è la vera essenza della natura che compone se stessa, non per oggetti, bensì per forme interrelate che si articolano su base micro-formante (quantica) e macro-formale (cosmica).

 

• La pittura è processo profondo che si risolve magnificamente sulla superficie.

 

• La forza dell’arte sta nel suo favorire l’attenzione sul momento presente, dilatandolo all’infinito al di fuori del tempo, sia passato che futuro.

 

• Il dipinto “definitivo” di oggi è l’equivalente del “bozzetto”di ieri.

 

• Il fatto che un fotone, prodotto nel nucleo del sole, impieghi moltissimo tempo per fuoriuscirne, per poi velocemente toccare il mio dipinto, mi intenerisce molto. Se c’è qualcosa che voglio raccontare con la mia pittura, è proprio l’avventura di questo fotone

 

• Una reliquia fuori dal reliquiario non è altro che una cosa. L’arte è contesto e benedizione.

 

• Quando finisco di lavorare su un dipinto non rimango a rimirarlo più di tanto se non per quei particolari tentativi sperimentali che posso ulteriormente adottare in altri dipinti. Mi piace dimenticarlo, non fissarlo nella mente come riferimento, sia per non creare un modello ingombrante, sia perché rivedendolo tempo dopo questo mi apparirà come qualcosa di completamente nuovo e sorprendente. Questo anche per rimuovere le pene pittoriche sempre ben documentate nei dipinti.

 

• In pittura non si dovrebbe parlare di tempo. Nè di produzione nè di fruizione. La pittura mangia i suoi tempi e ne sputa le ossa alla storia.

 

• A ogni uomano spetta una porzione di mondo. Sa non gli è data ha diritto a fare la rivoluzione o a migrare.

 

• Benchè la pittura appaia come articolazione di piani sovrapposti, questa è solamente un’abitudine scaturita da una educazione visiva sclerotizzata. La sovrapposizione dei piani cromatici è solo un fatto metodologico di tecnica realizzativa, che non risulta poi in una concreta sovrapposizione dei piani stessi.

La pittura si fonda sulla divisione in parti di un unico piano pittorico. Parti che possono essere percettivamente individuate sulla base delle differenze cromatico-zonali scaturite dalla discrepanza di luminosità dei pigmenti o altri materiali usati.

Le forme possono configurarsi in modo netto, sfumato o frastagliato nella loro reciproca adiacenza.

L’intero piano cromatico del dipinto è pittoricamente univoco pur nelle sue peculiarità differenziali di riflessione cromo-luministica.

 

• Con l’estremismo della non-oggettività si supera il percepibile per giungere al concetto stesso del percepire. Con questo tipo di pittura l’artista e il fruitore coincidono, in una sospensione dell’atto percettivo per rivolgersi all’ente ontologico della percezione in quanto tale.

 

• L’arte è pur sempre un’attestazione documentale che può essere bella come un atto di proprietà o brutta come una multa.

 

• L’arte è come una schiuma che si forma per agitazioni.

 

• In pittura non c’è altra dimensione se non la sua propria bidimensionalità. Qualsiasi tentativo di uscire da questa è illusionismo o scultura.

 

• L’arte dada e concettuale ci dimostrano che qualsiasi attività può essere estetizzata. Di conseguenza la possibilità di creare discipline artistiche è pressochè inesauribile.

 

• La “pittura pura” è stata per secoli argomento privato tra i pittori. Il senso di una pennellata fine a se stessa, la discussione su un aspetto tecnico, un miscuglio cromatico particolare sono momenti esaltanti e divertenti nella vita di un pittore. Cose di pittori che possono anche non avere relazione con l’opera finita. Questo sostrato di bottega è emerso a poco a poco, e con qualche difficoltà, all’attenzione del pubblico e della critica.

 

• Un dipinto è come un organismo formale fondato sulla legge della differenza cromatica. Ogni sua parte è necessaria al tutto nei limiti della superficie del supporto.

 

• L’artista è un fortunato masochista al quale l’inconscio collettivo ha dato il mandato di guidare l’alienazione umana. Egli entra ed esce da questo stato con disinvoltura, lo sorvola, lo penetra. È come un novello Dante che lo documenta poeticamente a vantaggio di contemporanei e posteri.

 

• Il contenuto della pittura è sempre il colore nella sua forma data in rapporto con altre forme colorate. La forma della pittura è la totalità compositiva delle sue forme colorate o colori formanti. Il tema o soggetto del dipinto è sempre pretesto funzionale, conveniente o di insicurezza, non necessario alla vocazionalità pittorica.

 

• Solo la “tangibilità” permette di estendere l’emozione sul filo del tempo che va dalla memoria all’attesa. La virtualità è peculiare alla momentaneità del contemporaneo. Non ha nè passato nè futuro ma solo presenza effimera nel suo presente. Il contesto digitale può essere ausilio e non sostituto della tangibilità; almeno fino a quando le nostre coscienze rimangono contenute in un corpo.

 

• L’arte è una grande premessa senza argomentazioni a seguire, a parte qualche polemica.

 

• Immanuel Kant avrebbe sicuramente apprezzato la pittura astratta.

 

• C’è un periodo interessante, un’epoca, un movimento, anche un’avanguardia.

C’è un artista, un suo periodo, un suo ciclo di opere.

C’è un’opera in particolare e il particolare di un’opera.

Ecco ciò che più mi interessa.

 

• L’arte contemporanea rappresenta l’esistente, l’esistito e il “potrebbe esistere”, il dato di fatto, la nostalgia e l’utopia. Tutto questo in modo più o meno critico.

 

• L’arte produce forme al di là dell’utilitarismo. Producendo forme produce porzioni di linguaggio latente, veritiero, non vero se pur verificabile. È l’aggiungere di un termine possibile, ulteriore significante.

 

• La scienza non può spiegare l’arte, mentre l’arte può comprendere, spiegare e giudicare la scienza.

 

• L’estremismo stilistico di molta arte moderna è dovuto dal culto del progresso/obsolescenza tipico della cultura scientista. L’approccio forzatamente sperimentalista di molti artisti è risultato in una cultura espositiva da gabinetto scientifico.

 

• La pittura non ha un pubblico. Non è come lo spettacolo di cui si condivide collettivamente l’opera. In pittura ci sono solo fruitori individuali, ciascuno per sé davanti l’opera, ciascuno col suo tempo di fruizione.

 

 

 

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